L’evento del Covid 19, per quanto negativo, può rappresentare, per l’Italia, un’occasione di rilancio, dimostrandone, per l’ennesima volta, l’indistruttibile resilienza sociale ed economica. Se la resilienza è la capacità - in circostanze avverse e, talvolta, contro ogni previsione - di fronteggiare efficacemente le contrarietà, non vi è dubbio che il Recovery Fund è, per l’Italia, uno strumento di resilienza, che può dare nuovo slancio alla nostra economia!
L’approvazione del Recovery Fund da parte dell’UE, com’è noto, non è stata facile, poiché ha trovato immediatamente l’opposizione da parte dei cd. Paesi frugali (Olanda, Danimarca, Svezia, Austria e, successivamente, anche Finlandia), contrari ai trasferimenti a fondo perduto e favorevoli ad un ridimensionamento degli aiuti che l'Europa intendeva stanziare per l'emergenza coronavirus.
Nel luglio 2020 c’è stato finalmente l’accordo tra i paesi UE sul Recovery Fund, con l’approvazione di un piano straordinario da 750 miliardi per salvare i Paesi più colpiti dalla crisi economica causata dal Coronavirus. Per convincere i “Paesi frugali", tuttavia, si è dovuto accettare un compromesso consistente in una riduzione della quota dei trasferimenti (a fondo perduto) da 500 a 390 miliardi e di un correlato aumento dei prestiti, da 250 a 360 miliardi.
Tale accordo ha destinato circa 209 miliardi di euro all’Italia, di cui 81,4 miliardi in sussidi e 127,4 in prestiti. l'Italia, in questo modo, ha ottenuto quanto si aspettava, in cambio di una supervisione del Consiglio e della Commissione UE sulle modalità di investimento delle risorse, sia al momento della decisione dell'esborso, sia successivamente in corso d'opera.
L’idea del Recovery Fund è stata inizialmente proposta dal Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, che si è battuta con vigore per sostenere la necessità di intervenire finanziariamente a favore dei paesi membri più colpiti dall’emergenza socioeconomica causata dal Coronavirus.
Come più volte evidenziato da George Soros, l’idea del Recovery Fund non è nuova; basti pensare, ad esempio, al Piano Marshall, realizzato nel secondo dopoguerra dagli USA attraverso un fondo perduto che copriva l’85% delle spese di rilancio dell’economia dell’Europa occidentale. L’idea, a sua volta, era stata già seguita, in precedenza, dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti; il Congresso degli Stati Uniti, infatti, nel 1870 autorizzò il Tesoro a emettere bond perpetui a sostegno di interventi per il rilancio dell’economia nazionale; al pari la Gran Bretagna aveva utilizzato tale strumento per finanziare le guerre napoleoniche e il primo conflitto mondiale (i cd. war bonds).
Ora, come ha detto il presidente Mattarella in un recente intervento al Forum Ambrosetti, la realizzazione del Recovery Fund deve proseguire con la massima rapidità possibile, perché si tratta di un’opportunità unica per assicurare la prosperità ed il benessere delle future generazioni europee, proprio come lo fu il Piano Marshall.
Tuttavia, in passato, il Piano Marshall intervenne per risolvere la mancanza di risorse (infrastrutturali, logistiche, nonché economico-finanziarie) distrutte dalla guerra. Oggi, invece, il problema da risolvere è soprattutto quello dell’utilizzo strategico delle risorse.
La Germania ha già le idee chiare sull’utilizzo dei fondi stanziati. In coerenza con le priorità stabilite dalla Commissione UE, si punta, in generale, al rafforzamento della ricerca scientifica soprattutto in ambito sanitario e, in particolare, alla conversione “verde” dell'economia europea ed alla digitalizzazione delle strutture produttive pubbliche e private, per rafforzare la competitività e la sovranità tecnologica dell'Unione.
L’Italia, invece, che presenta priorità differenti e ineludibili, sembra ancora incerta se impiegare i fondi per un abbattimento consistente della tassazione fiscale (impatto a breve termine), oppure per interventi più strutturali di impatto a medio e lungo termine.
In proposito, il recente intervento di Mario Draghi alla giornata inaugurale del Meeting per l’Amicizia induce a riflettere sulle politiche di intervento pubbliche: "Siamo stati colpiti duramente dall'esplosione della pandemia, che minaccia non solo l'economia, ma anche il tessuto della nostra società, così come l'abbiamo finora conosciuta; diffonde incertezza, penalizza l'occupazione, paralizza i consumi e gli investimenti. Ecco perché in questo susseguirsi di crisi i sussidi sono una prima forma di vicinanza della società a coloro che sono più colpiti… servono a sopravvivere, a ripartire. Ai giovani bisogna però dare di più: i sussidi finiranno e resterà la mancanza di una qualificazione professionale”.
Lo stesso fallimento dell’intervento straordinario, legato ad un’errata interpretazione di alcuni fattori endogeni e delle stesse leve finanziarie, dimostra che occorre pianificare oltre i sussidi. La stagione dei bonus va interrotta! Occorrono interventi strutturali di lungo respiro.
Scrive De Rita, in proposito: “Non è l’economia che traina il sociale, per creare sviluppo occorrono processi di autocoscienza e di autopropulsione collettiva, non interventi dall’alto”.
Come affermato da Conte: “se perdiamo la sfida del recovery plan, mandateci a casa”.
Sulle priorità del governo, il ministero Gualtieri, di recente, ha chiarito che l’intervento previsto non sarà dispersivo, né si proporranno i famosi 558 progetti, come finora si era detto: “Non faremo centinaia di microprogetti, ma pochi grandi progetti. I sussidi verranno utilizzati per rilanciare in modo strutturale la crescita e l’occupazione, e per ricucire le fratture territoriali e sociali”.
Le aree di intervento strategico considerate dal Governo sono: digitalizzazione e innovazione, green, competitività, mobilità, istruzione e formazione, equità sociale, sanità. Si tratta, più o meno, degli obiettivi prioritari che la Commissione Europea ha suggerito di perseguire, fissando, ad esempio, al 20% la quota di sussidi che ciascun paese beneficiario dovrà investire per la transizione digitale ed al 37% quella per la transizione climatica.
La Ue chiede, in particolare, all’Italia, di promuovere l’energia pulita, migliorare l’efficienza energetica degli edifici pubblici e privati, sviluppare nuove tecnologie nei trasporti, rafforzare la banda larga facilitando i 5G, digitalizzare la P.A. ed il settore giudiziario e sanitario, così come il sistema educativo in generale. In pratica, il Recovery Fund dovrebbe tradursi in uno strumento comunitario di pressione politica ed economica per favorire la modernizzazione delle economie di alcuni paesi membri che, come l’Italia, sono storicamente in ritardo, creando un circolo virtuoso tra investimenti e risorse.
Tutto ciò si ripercuoterà sulle scelte strategiche del nostro Paese. Lo ha ricordato il Ministro dell’Ambiente Costa, sottolineando che: “il 37% delle risorse assegnate deve andare al green” e facendo intendere che si tratta di un “paletto” ben preciso posto dalla UE al Recovery Plan, per cui “tutti i progetti del piano nazionale di ripresa e resilienza dovranno contenere elementi ambientalmente virtuosi”. Costa ha ribadito che sono allo studio tagli a sussidi dannosi per l’ambiente, proprio per favorire la riconversione green, e si rilanceranno i canali di finanziamento dedicati ai green bond, accompagnati da una semplificazione di tutte le procedure di autorizzazione ambientale a sostegno delle imprese che investono nella sostenibilità ambientale.
Sull’importanza di muoversi con tempestività si è espresso anche il Ministro degli Affari Europei, Vincenzo Amendola, ribadendo che, se si vuole ottenere una crescita italiana in linea con la media europea (1,6% su base annua) - incrementando gli indicatori di benessere, equità e sostenibilità ambientale, nonché riducendo i divari territoriali di PIL, reddito e benessere - è urgente non solo l’approvazione, da parte del Parlamento italiano, del Recovery plan (per ottenere subito un anticipo del 10% dei sussidi europei, pari a 20 miliardi di euro), ma anche l’approvazione del Mes, che consentirebbe di ottenere nell’immediato 37 miliardi di euro di prestito agevolato per l’emergenza sanitaria.
D’altra parte l’urgenza è determinata dalla scadenza fissata per la presentazione del piano italiano alla Commissione UE, ossia il 15 ottobre. A quel punto inizierà una fase di dialogo informale con Bruxelles, che si concluderà con l’approvazione finale del piano, emendato o meno dalla Commissione. Per cui non si può più tentennare: o ci adeguiamo alle priorità europee che, come si è visto, sembrano convergere con le priorità strategiche nazionali, oppure perdiamo un’occasione straordinaria di implementare nuove e più efficaci logiche di pianificazione politica ed economica, che si concretizzerebbero in interventi strutturali di riforma del mercato del lavoro, riduzione della tassazione sul lavoro, riforma dell'istruzione e della formazione professionale, riduzione dei tempi della giustizia ed efficientamento tecnologico delle Pubbliche Amministrazioni.
È quanto si auspica da tempo e costituirebbe, oltretutto, un’occasione unica per assicurare un futuro prospero ai nostri figli.
di Salvatore Esposito De Falco & Antonio Biancospino
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