Gli studi sul governo dell’impresa, negli ultimi anni, hanno investigato nuovi meccanismi in grado di proporre soluzioni e best practices capaci di controllare le variegate forme di opportunismo che caratterizzano le dinamiche di gestione e governo dell’impresa.
La letteratura sulla Corporate Governance, in particolare, ha identificato molteplici soluzioni, spesso tra loro contrastanti, orientate a delineare un modello di impresa quasi ideale, in cui far convergere interessi tra loro contrastanti; il tutto con l’intento di preservare il massimo ritorno economico per l’azionista e per i suoi investitori.
In questa direzione sono state identificate best practices che potessero favorire il sorgere di meccanismi orientati alla creazione di valore economico; si tratta di filoni teorici collocabili negli studi strutturalisti, comportamentali ed esperienziali. I primi orientati ad investigare la migliore struttura del board, necessaria a garantire elevate performance, evidenziando come le caratteristiche di quest’ultima (età, background, genere, ect.) possano influenzare sul processo decisionale degli amministratori e, quindi, sulle performance dell’impresa; gli studi comportamentali/relazionali, tesi ad investigare l’influenza che determinati comportamenti manageriali (relazioni sociali degli amministratori, legami con altre imprese, rapporti personali con i dirigenti, ect.) possono avere sui risultati economici dell’impresa; infine, gli studi esperienziali, volti a rilevare come le performance dell’impresa siano influenzate dalla conoscenza e dall’esperienza degli amministratori.
Questi filoni teorici per anni hanno caratterizzato gli studi sulla Corporate Governance. Negli ultimi decenni, tuttavia, si è affermato un nuovo orientamento teorico, teso a rivedere le determinanti poste alla base del governo d’impresa, non più indirizzate prevalentemente al residual right, bensì a garantire la sostenibilità nel tempo dell’impresa attraverso una continua ricerca di equilibrio di interessi tra loro contrastanti.
Sul punto correttamente alcuni ricercatori hanno sostenuto che la maggiore attenzione verso la sostenibilità ed il rispetto degli azionisti costituisce una rivisitazione, in chiave moderna, degli insegnamenti della Teoria dell’agenzia e della Teoria manageriale; in precedenza la teleologia dell’impresa era costruita solo sul profitto e sulle finalità economiche del sistema proprietario; attualmente, invece, il profitto sembra aver trovato forme più “sostenibili”, in cui il risultato economico è mascherato da altre motivazioni, come il rispetto per tutti gli stakeholder, compreso l’ambiente. Trattasi, quindi, di una diversa forma di sostenibilità, di tipo utilitaristico, in cui il perseguimento del profitto e degli interessi del sistema proprietario è conseguibile apparendo garantisti verso un contesto che non è più statico e immobile, come in passato, bensì dinamico ed in grado di esercitare forti pressioni sull’impresa.
La situazione attuale sembra aver ridimensionato la distinzione tra Corporate Governance allargata e ristretta1, amplificando di fatto un’area grigia in cui, da un lato, il sistema proprietario è sempre meno interno ed aperto verso nuovi ed invisibili investitori, ed il contesto esterno è sempre più parte integrante dell’impresa. Un esempio su tutti è dato dai nuovi orientamenti legislativi determinati dalla Shareholders Rights Directive (modificata con la Direttiva 2017/828 ‒ SRD II), che incoraggiano l’adozione di scelte aziendali improntate a favorire il coinvolgimento diretto di tutti gli azionisti nell’azione di governo, inducendo comportamenti orientati alla sostenibilità, intesa come capacità di adottare atteggiamenti rispettosi verso tutti i portatori di interesse.
Non si può negare, pertanto, un sostanziale cambiamento nell’azione di governo dell’impresa, non più ancorata a pochi soggetti, bensì sempre più composita e globale. La nuova sfida cui è chiamata a rispondere la Corporate Governance è quella di riconfigurare il complesso e variegato sistema proprietario verso azioni non confliggenti con l’interesse dell’impresa; l’obiettivo è colmare il grande vuoto lasciato dalla Teoria dell’agenzia, dando più considerazione agli interessi dell’impresa stessa, in quanto portatrice di proprie aspettative ed esigenze.
La relazione, quindi, si amplia da bi-dimensionale P/A (Principal-Agent) a tri-dimensionale P/A/B (Principal-Agent-Business).
In questa nuova ottica le ricerche sulla Corporate Governance trovano una nuova collocazione, in cui al centro dell’attenzione viene messa l’impresa stessa, non solo come strumento per gli interessi del sistema proprietario, bensì quale meccanismo complesso in grado di auto-alimentarsi nel tempo e nello spazio con l’intento di creare valore socio-economico.
In questa nuova veste la presente rivista, Corporate Governance and Research & Development Studies (CGR&DS), intende avviare un dibattuto internazionale attraverso il quale ampliare le dimensioni e le possibili applicazioni delle best practices poste alla base della Corporate Governance; non più basate solo sul riequilibrio delle relazioni all’interno del sistema proprietario e tra questi e il sistema manageriale, ma volte a correggere gli squilibri che, direttamente e indirettamente, possano minare l’essere stesso dell’impresa, sia essa pubblica, sia privata.
Il dibattito che si intende avviare con questa rivista, di cui oggi si presenta il primo numero (speriamo di una lunga serie), è quello di porre, al centro dell’attenzione degli studiosi di Corporate Governance, l’impresa; in tal senso l’impresa rappresenta l’interesse da tutelare attraverso la progettazione di nuove regole e nuovi meccanismi in grado di garantirne l’integrità, la crescita e lo sviluppo. La Ricerca e lo Sviluppo, così come l’innovazione, diventano, quindi, elementi da patrocinare, ricercando best practices utili alla relativa gestione ed implementazione.
L’intento è, quindi, quello di migliorare, attraverso gli insegnamenti della Corporate Governance, le inefficaci politiche di Public Grant messe in piedi dallo Stato per garantire lo sviluppo e la crescita economica del sistema paese. La mancanza di best practices applicate alle politiche di Public Grant ha, il più delle volte, favorito l’insorgere di fenomeni di opportunismo, noti con il termine di rent seeking, attraverso i quali i sacrifici della collettività sono stati sprecati per gli interessi dei singoli, generando, di fatto, elevate condizioni di iniquità.
Nel primo numero miscellaneo la rivista ospita quattro contributi scientifici che, pur percorrendo diverse tematiche, quali la Corporate Governance, l’innovazione e le politiche pubbliche a sostegno dello sviluppo economico, sono tutte coerenti con lo spirito della rivista fin qui tratteggiato e con l’intento, quindi, di porre l’impresa al centro dell’attenzione.
Il primo contributo, dal titolo The evolution of corporate governance in Italy: formal convergence or path-dependence?, è di Alessandro Zattoni, ed esplora la recente evoluzione del modello di governance italiano, al fine di comprenderne i fattori scatenanti e le conseguenze per tutti gli stakeholder. Si evidenzia, in particolare, l’evoluzione che sta caratterizzando le imprese italiane ed il graduale avvicinamento alle best practices internazionali (CdA con maggiore incidenza di indipendenti e costante ricorso ed utilizzo alla board evaluation), pur conservando le specificità nazionali (presenza del Collegio sindacale).
Il contributo di Piero Mastroberardino e Giuseppe Calabrese, dal titolo Corporate governance in family firms: towards a model based on Degree of
Institutionalization (DI), Structuring Change (SC) and Destructuring Change (RC), sottolinea l’evidente trade-off, all’interno delle imprese familiari, tra regole, norme, meccanismi istituzionali e interessi legati all’imprenditore/proprietario.
Gli Autori propongono l’utilizzo di una nuova chiave per l’esame delle dinamiche di governo delle imprese familiari: la visione situazionista delle organizzazioni (SVO), focalizzata sul trade-off tra azione e istituzionalizzazione.
Attraverso tale lente interpretativa si possono approfondire, a mio avviso, nuove soluzioni e best practices capaci di legare il momento dell’istituzionalizzazione a quello dell’azione. Ne sono un esempio alcuni organi di governo non istituzionali come il Consiglio di famiglia e l’Assemblea di famiglia.
Le nuove best practices dovrebbero garantire una maggiore disclosure tra gli organi istituzionali e non.
I restati contributi approfondiscono tematiche relative all’innovazione ed alle politiche di intervento pubblico a sostegno dell’economia.
Sulla prima tematica si focalizza il contributo dal titolo Internal resources and stakeholders engagement affecting environmental innovations: an exploratory research, di Ivana Quinto, Giuseppe Scandurra ed Antonio Thomas. Il lavoro approfondisce il tema della sostenibilità con riferimento alle cosiddette innovazioni ambientali. Si tratta di un argomento che, sollecitato anche da specifici interventi normativi, sta attirando l’attenzione di molteplici studiosi di varie discipline e che, con riferimento agli studi manageriali, evidenzia alcune tendenze nella governance di queste imprese, che sembrano caratterizzate da una forte predisposizione al cambiamento e all’innovazione in generale. I risultati mostrano una spiccata sensibilità di queste imprese verso le innovazioni ambientali, mentre gli investimenti effettivamente sostenuti nel complesso sembrano ancora inadeguati rispetto all’obiettivo di raggiungere posizioni di avanguardia a livello internazionale.
L’insegnamento che si può trarre da questo contributo sicuramente induce a ritenere l’importanza di tematiche quali la Enviromental Social Governance che potrebbe, in un prossimo futuro, diventare una pratica utile e necessaria a garantire la sostenibilità e, quindi, la longevità dell’impresa nel tempo. Questi fattori evidentemente non sono in contrasto con il risultato economico cui deve tendere l’impresa; ne sono un esempio le imprese benefit che tendono ad istituzionalizzare un comportamento orientato alla sostenibilità, pur nel rispetto degli interessi specifici dell’impresa.
L’ultimo contributo è Lo sviluppo del Mezzogiorno: dall’intervento straordinario alla strategia euro-mediterranea, di Francesco Fimmanò. Esso rappresenta un originale excursus storico sull’intervento straordinario per le aree nazionali depresse, in cui si evidenziano i nodi e le criticità che ne hanno definito la mancata crescita. Questo studio sulle determinanti dell’insuccesso dell’intervento straordinario del Mezzogiorno pone le basi per l’avvio di un dibattito sulle best practices in tema di Corporate Governance per il recupero di efficacia e di efficienza delle Public Grant. Nel lavoro, in particolare, l’autore evidenzia l’importanza, per il Mezzogiorno italiano, del nodo strategico del rapporto impresebanche, evidenziando come, in una prospettiva economica liberale, occorra un intervento mirato e più sofisticato dello Stato nell’Economia che, evitando gli errori del passato, sia in grado di avviare nuove strategie e/o strumenti di finanziamento alle imprese meridionali.
Il contributo di Fimmanò, in particolare, apre ad un nuovo dibattito, orientato a ridefinire l’intervento pubblico non solo ripensando specifici meccanismi in grado di contrarre l’opportunismo degli attori in gioco, ma le stesse logiche motivazionali alla base degli interventi pubblici, così da renderle più funzionali al contesto di riferimento. In quest’ottica, una possibile agenda, sulla quale la nostra rivista dovrà necessariamente aprire un confronto, potrebbe
articolarsi attraverso una serie di interventi specifici tra i quali, pur non volendo essere assolutamente esaustivi circa le azioni da intraprendere, si possono immaginare le seguenti azioni:
1. Creazione di una Authority nazionale ed introduzione di un sistema di autoregolamentazione per la gestione dei fondi pubblici per la R&D: l’istituzione di una authority (come la Consob per le imprese quotate, ad esempio) ha creato le premesse per l’istituzione di un sistema orientato alla trasparenza ed alla compliance. Così come è stato previsto un codice di autoregolamentazione che, per il tramite del virtuoso meccanismo comply or explain, consente all’impresa di decidere di non rispettare le regole imposte, purché spieghi i motivi per i quali non intende aderire ad esse; al pari, nella gestione dei fondi pubblici per la ricerca e l’innovazione, è ipotizzabile la creazione di un codice di autoregolamentazione, con l’individuazione di determinate regole che potrebbero favorire una riduzione degli atteggiamenti opportunistici, ribaltando il sistema di controllo sul singolo beneficiario, così costretto a dichiarare le motivazioni di comportamenti difformi dalle regole imposte. Le best practices si fonderebbero, quindi, su una serie di principi condivisi di good governance, basandosi sull’impatto, in termini reputazionali, dell’adesione o meno alle stesse da parte delle imprese utilizzatrici dei contributi pubblici.
2. Creazione di una agenzia di rating. L’obiettivo dovrebbe essere quello di creare un sistema di rating con l’introduzione di specifici standard quantiqualitativi orientati a valutare l’attendibilità, la puntualità, l’affidabilità e la serietà delle imprese nell’utilizzo e nella gestione dei fondi pubblici per lo sviluppo e l’innovazione (Fig. 1).
Ad oggi non esiste un sistema in grado di controllare e memorizzare le attività di ricerca e sviluppo proposte e candidate dalle imprese all’ottenimento di fondi agevolativi. In molti casi, infatti, le imprese tendono a replicare
determinati progetti di ricerca ed innovazione su diverse misure di finanziamento (per esempio regionali, nazionali ed europei), consapevoli di operare in situazioni di completa asimmetria informativa e generando, in tal caso, i noti fenomeni di adverse selection. In un sistema moderno, in cui i soggetti pubblici possono utilizzare sistemi intelligenti di monitoraggio e controllo (si veda i nuovi sistemi dell’Agenzia delle entrate, anche favoriti dall’introduzione della fatturazione elettronica), si potrebbe ideare un sistema centralizzato di monitoraggio dei progetti di ricerca (a partire da un data base centrale) basato su algoritmi di identificazione e controllo testuale in grado di comunicare alert di plagio, rispetto ad altri progetti già presentati dallo stesso soggetto, ovvero da altri soggetti differenti.
Il controllo non dovrebbe limitarsi al solo grado di plagio del progetto, ma riguardare anche l’attribuzione di un rating quantitativo, sia in relazione al raggiungimento dei risultati legati alla ricerca e sviluppo (grado di industrializzazione
dei progetto, numero di brevetti depositato, numero di pubblicazioni scientifiche prodotte, ricadute interne in termini di diverse innovazioni favorite dal progetto di R&D), sia in termini di capacità finanziarie dell’impresa mostrate nella rendicontazione e gestione del progetto stesso.
In quest’ultimo caso va segnalato che il Ministero dello sviluppo economico, con il programma Horizon 2020, ha introdotto una sorta di rating economico finanziario in base al quale vengono ammesse alla fase di valutazione qualitativa le sole imprese che concorrono alla graduatoria comparativa attraverso un punteggio di sintesi, ottenuto mediante indicatori economico finanziari basati sulla affidabilità economica, sul grado di indipendenza e sull’effettiva patrimonializzazione. L’idea è sicuramente valida, ma andrebbe integrata con una serie di indicatori quali/quantitativi basati su quanto precedentemente illustrato.
In quest’ottica si potrà disporre di un rating complessivo e sintetico che dovrebbe guidare l’assegnazione di risorse pubbliche per la ricerca e sviluppo, favorendo i soggetti che si sono positivamente distinti sia nella gestione del progetto, sia nella proposta di idee veramente innovative, sia nella disposizione di adeguate risorse finanziarie in grado di valorizzare i risultati di ricerca.
3. Nuove metriche di performance (NPM) in assenza di mercato: nei casi di assenza o latitanza del mercato, si propone di affrontare le problematiche della reattività degli agenti rispetto alle misurazioni adottate, dei comportamenti opportunistici a fronte degli incentivi, dei nessi con la sfera motivazionale degli operatori. In quest’ottica, occorre rielaborare il concetto stesso di misurazione al di fuori del riferimento ad un approccio scientifico positivista ormai superato, tenendo, invece, conto della complessità delle organizzazioni del nostro tempo. L’ottica dev’essere quella dell’economista d’impresa, che deve ricercare i dati e adottare un adeguato “disegno di ricerca” (research design) per valutare ‒ attraverso l’utilizzo di metodiche scientifiche consolidate ‒ se, dalla misura di politica economica, sono scaturiti gli effetti voluti.
4. Nuove modalità applicative e meccanismi operativi della sussidiarietà. L’obiettivo è quello di dedicare maggiore attenzione alla progettazione degli interventi pubblici a sostegno dell’economia non fini a sé stesso, ma in funzione dell’impatto che possono avere sul territorio e sui suoi attori. In altre parole, si vogliono porre le basi per disegnare una vera e propria catena del valore dell’intervento pubblico, al fine di identificarne i vari anelli quali componenti generatori, da un lato, e distruttori, dall’altro, di valore. In quest’ottica cambiano le finalità dell’intervento pubblico, non più fine a sé stesso, ma orientato a creare una sorta di valore circolare e sostenibile a
somma positiva. Per questo occorre ripensare a metriche di misurazione dell’efficacia e dell’efficienza dell’intervento pubblico.
5. Progettazione di relazioni tra sistemi di controllo, efficacia organizzativa, innovazione gestionale. L’esigenza di contrastare i fenomeni di bad practice amministrativi e le azioni di rent-seeking basate anche su rischi corruttivi
impone una riforma dei sistemi di controllo formali e burocratici, per evitare che inneschino routine difensive e rilancino i noti circoli viziosi della burocrazia. L’idea è quella di programmare pratiche virtuose e modalità innovative
per mettere in discussione il “gioco rituale del controllo”; il tutto nel tentativo di sviluppare forme più evolute di intelligenza organizzativa, basate su best practices consolidate negli studi sul governo e sulla Corporate Governance delle imprese private, per evitare il sorgere delle pratiche di tunnelling.
L’obiettivo è tenere in tensione i sistemi di controllo, generando quegli elementi sfidanti di imprevedibilità che inducono comportamenti più̀ genuini e proattivi da parte dei diversi attori.
In conclusione, ci è gradito ringraziare tutti i componenti del Comitato Editoriale e del Comitato Scientifico di questa rivista, che hanno condiviso il nostro progetto affiancandoci nella complessa iniziativa editoriale. L’auspicio è quello di riuscire a contribuire, in modo indipendente, al dibattito scientifico tra Corporate Governance, Innovazione e Public Grant.
di Salvatore Esposito De Falco
Riferimenti bibliografici
Cucari N. (2018). Lo shareholder engagement negli studi di corporate governance. Un’analisi empirica mediante la Qualitative Comparative Analysis. Milano: Franco Angeli.
Esposito De Falco S. (2014). La corporate governance per il governo dell’impresa. Milano: McGraw-Hill, pp. 1-469, ISBN 978-88-386-7434-1.
Esposito De Falco S. (2017). I rapporti di potere nel sistema proprietario. Il difficile equilibrio tra maggioranza e minoranza. Padova: Cedam Wolters Kluwer, pp. 1-153, ISBN 978-88-13-36766-4.
Esposito De Falco S. (2018). Editorial: A vision from the different perspectives. Corporate Governance and Organizational Behavior Review, Volume 3, Issue 1, pp. 4-6, ISNN 2521-1870.
Fimmanò F., Falcone G. (2019). FinTech. Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane.
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